sabato 20 settembre 2008

you can't always get what you want


Inizia con un corpo a corpo con una cabina telefonica lo psicodramma di Simon, ipersensibile girovago protagonista di Tutta colpa di Mick Jagger, ultimo romazo del francese Cyril Montana.

Dalla cabina telefonica dalla quale Simon cerca una via di fuga dalla profonda provincia francese nella quale è ricoverata la madre, Mousse, ex hippie, ex 68ottina, ex tossica. Mousse che sente dimorare nella sua testa quella “troppo grossa di Mick Jagger”, che sente in continuazione l'insoddisfazione che il leader degli Stones cantò nei sixties. Insoddisfazione che ha reso la vita di Simon, un lungo schianto, una reiterata corsa contro un muro. 

Nella valanga di rievocazioni sul '68 uscite quest'anno, Tutta colpa di Mick Jagger ha il merito di sembrare un resoconto di prima mano, un manifesto dei postumi di quella solenne – e sacrosanta – ubriacatura.    




sabato 6 settembre 2008

new york city cops

Veni, vidi, vici. Quando si dice avere il controllo della situazione.
Ancora Jack White, poi la smetto. 




martedì 2 settembre 2008

strange brew/2


Nel maggio del 1966 la California era la Terra Promessa. La patria del surf era, o almeno così sembrava, il luogo della perfetta coincidenza tra vita etica e vita estetica. Tutto quello che succedeva in California era bello, e chi vi partecipava era un beato. Di questa Terra, Brian Wilson era la colonna sonora vivente, l'architetto in grado di costruire una topografia sonora perfettamente sovrapponibile a quella reale. La California era quella dei Beach Boys, l'estate perenne, i fuck-me-smile, la grande abbuffata di lsd ed affini.
Pet Sounds è la rottura di questo equilibrio, l'impossibilità di questa sovrapposizione topografica. Le canzoni minime di PS sono parte di un tempo sospeso tra il festaiolo presente alla mano ed un lontanissimo ed oscuro altrove. Rarefatto ed oscuro, leggero e denso.
Non semplicemente un cambio di prospettiva - come se dal foro esteriore si fosse passati a quello interiore - non una maturazione - come se dall'estate si fosse passati all'autunno: pensare in questo modo a PS è affrontare con la botanica un problema di poetica.
In Pet Sounds, quella che era la musica dei Beach Boys viene completamente frantumata. Brian Wilson ricostruisce il proprio cantiere sonoro, mette in note spaesamento e disillusione, cancella la superfice dorata e si cala nel più profondo novecento. Il suo mondo è ancora lì: sono i significati che cambiano. Con un atto intimamente sovversivo - mi verrebbe da scrivere rock - questi significati evaporano e si sublimano in suoni immediatamente classici, metatemporali eppure alla portata di tutti. Un disco difficile ma immediatamente comprensibile. Paradigma del pop.

sabato 30 agosto 2008

strange brew/1

Capolavori gemelli. Nati lo stesso giorno. 'Blonde on Blonde' di Bob Dylan e 'Pet Sounds' dei Beach Boys. Rainy Day Woman e Wouldn't Be Nice che riempiono all'unisono l'etere americano il 16 maggio del 1966. Da un lato l'eretico del folk che bruciava sul rogo di un'inaudita creatività: in 13 mesi aveva pubblicato 'Bringing It All Back Home', 'Highway '61 Revisited' e 'BoB'; dall'altro Brian Wilson un notturno cavaliere lisergico che uccideva la sua surf music e costruiva in maniera manicale, solitaria, quella che forse è la più sublime opera pop della musica contemporanea.
Oggi Dylan, la fortuna di Dylan. Di seguito una compiaciuta e saltellante versione di Rainy Day Woman fatta da Tom Petty al 30° anniversario del genio (voto 4,5. Anche se poi penso ad Antoine, che tradusse stoned con preso a sassate, quando stoned sta per sballato...miseria del belpaese). Poi, sempre dalla stessa festicciola, Eddie Vedder, in una Masters of War fedellisimma all'originale, dissacrante, scarna, l'amarezza del dito puntato contro se stessi, contro la propria storia, il proprio paese.






Le cover sono il sintomo più eloquente della ricezione di un opera. Negli anni '6o, incidere una cover di Dylan era come indossare il vestito buono. Dylan viene coverizzato in presa diretta, e le sue canzoni raggiungono i primi posti delle classifiche molto prima di lui. Byrds, Fugs, Stevie Wonder, Otis Redding, Roberta Flack, Hendrix , Neil Young e svariati altri celebrano tempo reale il suo genio. Una lista approssimativa conta: 375 versioni di Blowing' in the Wind, 217 di Don't Think Twice, 181 di I Shall Be Released, 176 di Mr. Tambourine Man. Tra le 172 di Like a Rolling Stone, qui quella di Hendrix al Monterey Pop Festival, domenica 18 giugno 1967, il giorno della chitarra in fiamme, dell'inaugurazione della Summer Of Love. Epocale, torrida. Mi piace pensarla come il primo cenno di consenso americano a 'Sgt. Peppers', pubblicato 15 giorni prima. Quasi quaranta anni dopo, Outlaw Blues rifatta dai White Stripes, scazzata al limite del disincanto, messa lì quasi a prendere un pò di fiato.






giovedì 28 agosto 2008

chicago

La convention democratica di Denver è una celebrazione. Un non chiarito attentato neonazi, l'arrabbiatura di Bill Clinton, l'arresto di un reporter di ABC News, non hanno scalfito il rito che ha incoronato Barack Obama. Baci ed abbracci mediatici con la famiglia, sorrisini con Hillary, l'investitura dei Kennedy, il simbolico testimone raccolto dalla marcia su Washington di MLK - oggi è il 45° anniversario - rappresentano lo scettro consegnato al senatore dell'Illinois per andarsi a prendere il trono. L'America spera di nuovo, gioisce per la sua nuova "Nuova Frontiera".



Nell'agosto '68 a Chicago, la convention democratica fu tutt'altro che una festa. Ci furono scontri tra la polizia ed i manifestanti appartenenti all'Sds, alle Black Panther, agli Yippies. Nonostante la processione laica di Ginsberg, il Festival of Life organizzato dalle White Panther di Sinclair, non ci fu nessuna sinergia tra controcultura ed establishment. Gli Stati Uniti non vennero ridisegnati. L'arretramento conservatore del partito democratico americano non rese possibile la cura delle ferite - Bob Kennedy, MLK - inferte ai liberal americani in quell'anno. L'evacuazione forzata della controcultura americana fu l'inizio del disincato. Dalla Summer of Love alla Summer of Hate. Passaggio cantato in modo meraviglioso da Crosby, Stills, Nash e Young nella loro Chicago, canzone di protesta paradigmatica dedicata a quei giorni. L'anno successivo Phil Ochs fotografò lo stato d'animo con la copertina del suo "Rehearsals For Retirement", la festa per il pensionamento del movimento americano, indicando come sua data di morte proprio Chicago, 1968.


Ma i giorni di Chicago ebbero quantomento una grande colonna sonora in presa diretta, arrabiata e lunghissima. Ando in scena al Lincoln Park dove era stato organizzato il Festival of Love. Gli scontri, la situazione di tensione impedirono a molti musicisti scritturati di partecipare. Ma ci fu l'esibizione di un gruppo legato a doppio filo con il movimento, gli MC5 di cui Bob Sinclair era mentore ed ideologo. Suonarono per otto ore: e se bastano trenta secondi di Kick out the Jams per assasinare ogni forma di autocontrollo non oso neanche immaginare cosa abbia provocato in una folla esagitata quel concerto di puro garage, essenziale, urlato, colorato e superficialmente nichilista.
Il primo video è girato in quei giorni di Chicago durante il loro concerto, ma purtroppo non c'è audio.
Ci si rifà con il secondo.





Stevie Wonder chiuderà la convention di Obama. Chissà stasera dove suonano i Sonic Youth...

mercoledì 27 agosto 2008

when the ship comes in (giornalese001)


...il jazz mainstream, i piani alti, le mutazioni antropologiche, il lavoro senza classe, il capitale senza lavoro, mai al governo, la fuga dalla politica, la subalternità al dipietrismo, il proselitismo verbale, l'interlocuzione lucida, la valutazione laica, il cinema del presente, il complotto dalemiano, la governance barocca, l'atrofia delle emozioni, il solipsismo menefreghista, lo stato di grazia mediatica, la giustizia silviocentrica, la quadratura del cerchio, la convivenza pacifica, la coperta corta, la ragionevole follia, la levata di scudi, il pressing dell'opposizione, le vacche magre, il fuoco di sbarramento, la via di mezzo, la crescita esponenziale, il punto fermo, le parole sacrosante, la leggenda vivente, l'invitato di pietra, il clima convulso, il muro contro muro...

bodysnatchers


Al di là della sua solidità ogni corpo contiene codici, iscrizioni, storie. Contiene linguaggi e si costruisce intorno ai simboli che il linguaggio crea. Accoglie ed emana frequeze. Le frequenze inviate dal corpo solido della Fender Telecaster contengono un racconto possibile del rock, una traccia per percorrerne i sentieri.
La telecaster è l'altra chitarra, una delle altre; o almeno non occupa il posto che nell'immaginario collettivo è occupato dalla sorella minore, la celeberrima stratocaster. In origine - niente notte dei tempi - era la Broadcaster creata da Leo Fender nel 1948. Utilizzata da svariati guitar-hero (Richards, Jeff Beck) la telecaster è stata la chitarra dei venerabili del rock, di coloro che in diversi periodi ne hanno reinventato la poetica.
Nei '60 pieni di grazia una telecaster bianca e nera è la chitarra accompagna la svolta elettrica di Dylan. Nel celebre live alla Royal Albert Hall quel suono dà il via alla più densa versione di Like a Rolling Stone che il nostro ci ha regalato. Bianca e nera, irrevocabile: o dentro o fuori.
Alla fine del vortice dei '70 la telecaster di Joe Strummer è marchiata, spillata, piena di adesivi ed iscrizioni, di crepe e graffi. Come i pargoli inglesi risvegliati dai tremori del punk. London Calling è fatta di quel suono, un richiamo alle armi.
Nei plasticosi anni '80 Springsteen ne ha una color legno. Nuda, senza orpelli, a lavar via dalla superficie musicale ogni finzione, ogni oggiunta posticcia. L'ennessimo rinascimento rock è ancora quel suono, quegli accordi scanditi di Born in the Usa.
Negli anni '90 c'è quella schierata di Tom Morello, quella con la freccia nera di Eddie Vedder. E poi quella di Jeff Buckley che ne esplora tutte le sfumature, tutte le sonorità, disegnando quelle trame che da Eternal Life a Lilac Wine, passando per Grace e Mojo Pin, svelano altezze e profondità di questo meraviglioso corpo solido. 60 anni, e per fortuna li dimostra tutti.



martedì 26 agosto 2008

good & evil


Ad essere manichei ci si guadagna. Quantomeno in velocità. Ed allora: il mondo si divide in due, folli e sani di mente. I primi sono quelli che credono che i Raconteurs siano creatura di Brendan Benson - e sono molti -, i secondi quelli che si tolgono il cappello al cospetto di Jack White III.
Consoler of The Lonely: una guida illustrata al lessico rock di Mr. White Stripes, che con il socio in affari divide i crediti delle canzoni, e poco altro. Qualsiasi cosa se ne dica, qualsiasi recensione venga scritta le canzoni di Consoler of the Lonely sono il personalissimo rimedio di Jack White all'estranazione. E sono più belle di molte delle ultime cose del duo rock più famoso del pianeta. Un giro nella forma canzone con questa compagnia è piacere puro. Una lezione, una perfetta dispozione topografica di gesti, arrangiamenti, temi e modalità esecutive, un viatico alle autostrade ed ai sentieri interrotti del rock.
Il primo pezzo, la titletrack sembra composta in uno di quei momenti in cui ogni rifacimento del sé è clamorosamente ha portata di mano. Poi The Switch and the Spur, epica western, un commiato beat alla vita in metropoli, in 4 minuti e mezzo che sembrano un film di due ore. In You don't understand me, Benson è più presente ma quando arriva White, nel bridge pianistico, quello che si ascolta è un'impennata verso quei cieli alterati che sono la perenne promessa del rock. Da brividi.



martedì 13 maggio 2008

the widht of a circle

Coordinate: ultimo disco degli Afterhours, seconda traccia, ‘E’ solo febbre’, 2 minuti e 12 secondi. No, non è solo febbre. Lucidità ed ebbrezza. Grande stile, diceva qualcuno.
Rock, orchestrazione dodecafonica, trattamento elettrico, scomposizione ritmica, poesia. Tutto ordinato a tracciare una traiettoria che fa piombare nel bel mezzo della canzonetta italiana di facile consumo le estreme possibilità espressive della – pardon – pop music.
Nell’aura di ‘E’ solo febbre’ c’è l’assimilazione di una buona parte del novecento musicale; e c’è la fredda demarcazione di una nuova ipotesi costruttiva per la canzone d’autore italiana. Esagero? Forse, ma fa niente.
Di sicuro a Manuel Agnelli l’anno bisestile porta consigli e rivoluzioni. ‘Hai paura del buio’, seconda traccia, '1.9.9.6'.: ‘gli architetti sono qua / hanno in mano la città / Cambia rotta cambia stile / scopri l’anno bisestile’. 2008, ‘E’ solo febbre’: ‘cambiare stile falciando teste / cambiare amore cambiare veste / tradire tutti per non star solo / qualsiasi cosa se piacerà’.
Ripeto: grande stile. ‘Essere razionali mentre ti gira la testa’.



domenica 11 maggio 2008

paper cuts

Mi fido della Sub Pop? Si, mi fido. E’ una questione genetica. E’ irrazionalità. E’ Love Buzz\Big Cheese spedito via posta nel novembre 1988 in tutta l'america reganiana. E’ una compilation del 1986 con Steve Albini, Sonic Youth, Skinny Puppy e può bastare così. E’ il ricordo di una Seattle oggi scomparsa e sepolta.
L’ultimo prodotto della Sub Pop è ‘Nouns’, del duo noise californiano ‘No Age’. Dean Spunt voce e batteria, Randy Randall alla chitarra. Ed i White Stripes diventano una tranquilla e borghese coppia di dandy che cerca la migliore miscela di tè in commercio.
Niente costruzioni in provetta, niente lungaggini burocratiche. 30 minuti 30 essenziali e rumorosi. I ‘No Age’ sembrano una tempesta elettrica che si abbatte sui Pixies, somigliano alle notti alcoliche degli Husker Du.
‘Brain Burner’, ‘Miner’, ‘Eraser’, ‘Things i did when i was dead’, restano appiccicate addosso, rendendo la patina musicale in cui siamo immersi del tutto insopportabile. Per fortuna.

giovedì 8 maggio 2008

hallo spaceboy

Manolo Benvenuti, 2006, portacd

Oggi nella sezione ‘Spettacoli’ di molti quotidiani toccava ai Coldplay. Da Repubblica al Manifesto, passando per il trafiletto del Corriere delle Sera, è stato tutto un lodare e celebrare Martin & Co. per il loro ‘Viva la Vida or Death and All His Friends. A ragione? Non so, ho ascoltato – come tutti - 'Violet Hill', e mi piace l’attitudine, mi piace l’ingresso della chitarra, l’uscita dal ritornello, mi piace Martin che canta a miglia di distanza dalla pur vicinissima sezione ritmica. Uno spaesamento coinvolgente. Luoghi già visti, certo, ma che è bello rivedere. Soprattutto se il contraltare è la caramellosa signora Ciccone ed i suoi baci saffici. Violet Hill è trascinante. Eppure qualcosa la paralizza, la cristallizza. Sotto la superficie sembra muoversi in tutt’altra dimensione qualcos’altro, uno sfondo quasi impercettibile. Che sublima i Coldplay, li traduce in altre zone.
Difficile aspettarsi qualcosa di diverso da Brian ‘re Mida’ Eno. Ciò che produce diventa la patina elettrica che non riesci a toglierti di dosso. Talking Heads, U2, Bowie, Laurie Anderson, Paul Simon. O meglio: Remain in Light, The Joshua Tree, Achtung Baby, Heroes, 1.Outside, Bright Red, Surprise. Meglio spegnere il cervello e chiudere gli occhi.
Su 'Spare Rib', 1974, Eno scriveva recensendo il suo ‘Here Come the Warm Jets’: ‘I concetti che più mi interessano sono quelli che si rivolgono al mio intuito e restano un mistero per il mio intelletto […] mi piace lavorare con strutture semplici, perché sono trasparenti; paragonabili forse alla quadrettatura di un foglio di carta millimetrata che serve come contenitore, punto di riferimento, sistema per quella che è l’informazione davvero importante'.
Blank Brian.

mercoledì 7 maggio 2008

waiting for the sun

Il nuovo ministro per i Beni e le Attività Culturali scrive poesie su Vanity Fair...le dedica alle commesse della Camera dei Deputati...perfarsidelmale

martedì 6 maggio 2008

paradise now

Un momento di 'Conversione di un cavallo'.



Tableaux Vivants. Living Picture. Quadri rappresentati come una piéce teatrale. A Napoli il 10 maggio la compagnia Malatheatre ci prova con Caravaggio in ‘La conversione di un cavallo’. Accompagnando lo spettatore attraverso il processo di sublimazione della luce del genio di Bergamo. Si farà in strada, Via dei Tribunali.
Scrivo tableaux vivants e penso a Pasolini, alla 'Deposizione' del Pontorno rifatta in ‘La ricotta’, l’anno di Kennedy morto sulle note di ‘I saw her standing there’. La cinepresa, microscopio per l’arte e per la vita.
Scrivo living picture e penso al Living Theatre di Julian Beck, al ‘Not in my name’. L’arte in strada come una benedizione a sovvertire il buon costume. ‘Spread ourselves accross the public’s table like platters at a banquet’.
Musica, corpi danzanti, opere. Non costrette in musei, auditorium, teatri. Artisti che vengono arrestati perché non controllabili, puniti perché si sottraggono ad ogni forma di sorveglianza. L’arte che non chiede permesso.
30 gennaio 1969, da qualche parte vicino Piccadilly Circus

lunedì 5 maggio 2008

ghost track

Le insegne luminose attirano gli allocchi. Giovanni Lindo Ferretti in ‘Tu menti’, anno del signore 1987. I CCCP di ‘Socialismo e Barbarie’, l’invettiva punkemiliana contro il craxismo imperante. Contro l’italietta edonistica, tutta sorrisi e benessere, tutta luci al neon, patinata e levigata. Il paese coraggiosamente ipocrita e trasformista che con fare machiavellico, guardava e passava su tutte le forme più o meno occulte di gestione del potere.
‘Non fai niente di male, niente di ciò che credi, non sai quello che vuoi, non riuscirai ad averlo. Niente è gratis, niente è a posto. Le insegne luminose attirano gli allocchi’. Stacco iniziale di batteria e poi subito in media res, secondo l’urgenza tipica del punk, il no-future che abolisce ogni velleità barocca. Qui ed ora, ripetizione, il perseverante ed insensato girotondo della strofa, con gli accordi che si mordono la coda. Poi altro stacco ed il ritornello: ‘Eri così carino’, il sorriso cinico di chi svela in un sol colpo le ipocrisie dei perbenisti e dei fantocci rivoluzionari e dinamitardi.
Nel 2008 i CCCP non ci sono più. E non c’è più neanche quel Giovanni Lindo Ferretti, ora a spasso sulle mystic mountain dietro casa sua. Chissà, prima o poi bisognerà fargli visita. Il fare machiavellico, invece è vivo, vegeto e al riparo. E le insegne sono sempre più luminose. In mezzo l’adolescenza, la giovinezza, ed il precariato di tanti bamboccioni.
‘Niente è gratis, niente è a posto’.




20 marzo 1988, CCCP a Doc, Raidue, Rozzemilia - Oh Battagliero - Tu Menti