Al di là della sua solidità ogni corpo contiene codici, iscrizioni, storie. Contiene linguaggi e si costruisce intorno ai simboli che il linguaggio crea. Accoglie ed emana frequeze. Le frequenze inviate dal corpo solido della Fender Telecaster contengono un racconto possibile del rock, una traccia per percorrerne i sentieri.
La telecaster è l'altra chitarra, una delle altre; o almeno non occupa il posto che nell'immaginario collettivo è occupato dalla sorella minore, la celeberrima stratocaster. In origine - niente notte dei tempi - era la Broadcaster creata da Leo Fender nel 1948. Utilizzata da svariati guitar-hero (Richards, Jeff Beck) la telecaster è stata la chitarra dei venerabili del rock, di coloro che in diversi periodi ne hanno reinventato la poetica.
Nei '60 pieni di grazia una telecaster bianca e nera è la chitarra accompagna la svolta elettrica di Dylan. Nel celebre live alla Royal Albert Hall quel suono dà il via alla più densa versione di Like a Rolling Stone che il nostro ci ha regalato. Bianca e nera, irrevocabile: o dentro o fuori.
Alla fine del vortice dei '70 la telecaster di Joe Strummer è marchiata, spillata, piena di adesivi ed iscrizioni, di crepe e graffi. Come i pargoli inglesi risvegliati dai tremori del punk. London Calling è fatta di quel suono, un richiamo alle armi.
Nei plasticosi anni '80 Springsteen ne ha una color legno. Nuda, senza orpelli, a lavar via dalla superficie musicale ogni finzione, ogni oggiunta posticcia. L'ennessimo rinascimento rock è ancora quel suono, quegli accordi scanditi di Born in the Usa.
Negli anni '90 c'è quella schierata di Tom Morello, quella con la freccia nera di Eddie Vedder. E poi quella di Jeff Buckley che ne esplora tutte le sfumature, tutte le sonorità, disegnando quelle trame che da Eternal Life a Lilac Wine, passando per Grace e Mojo Pin, svelano altezze e profondità di questo meraviglioso corpo solido. 60 anni, e per fortuna li dimostra tutti.